Reportage dalla Repubblica Democratica del Congo
Primo giorno nella Repubblica del Congo.
Brazzaville, la capitale, è immersa in una natura lussureggiante, con flora e fauna tropicale da giardino botanico e parco zoologico. Sugli alberi, sulle nostre teste, corrono scimmiette impertinenti. Inizia a fare caldo, il cielo è coperto e grigio, l’aria è umida e appiccicosa, ma non è un caldo fastidioso, siamo in piena stagione delle piogge. Brazzaville è un gran villaggio di 400 mila persone, calmo, il cui ritmo è sonnacchioso anche nel piccolo centro della città, segnato da rari palazzi moderni e dalla maestà delle acque dello Zaire. Vedo per la prima volta la Torre Bemba, altissima costruzione circolare che non c’era nella mia ultima visita in Congo, e il Palazzo Moderno, altra architettura di nuova edificazione. Sull’altra sponda del fiume c’è Kinshasa. Le due capitali si guardano l’un l’altra indifferenti. Nell’acqua, che qui ha un corso rapido, bambini nudi giocano, altri pescano, qualche donna lava. Decine di bancarelle s’affollano con poverissime mercanzie: qualche arancia, banane, mango, sapone e birra locale, tutto in uno stradone fatto di terra e di fango.
Eppure ho l’impressione che la povertà non sia miseria, le persone sono sorridenti, la guerra è ormai un tenue ricordo di un passato tragico e doloroso. I ritmi della vita sono lenti e osservo segni di impresa che danno ragione alla speranza in un futuro sostenibile.
Le ragazze sono davvero belle. Sono allegre, si scherniscono davanti all’obiettivo, mostrano i bellissimi denti bianchi. I corpi sono coperti dai vestiti tradizionali. Quando vestono all’occidentale, lo fanno con proprietà e modestia ma il portamento conferisce loro un’innata eleganza. Manco da Brazzaville da un po’ più di venti anni e mi pare di ritrovarla quella che ricordavo, qualche palazzo moderno in più, qualche chilometro di asfalto nel centro della città, al di fuori di essa è ancora la pista, gialla, polverosa a ogni passaggio di auto. Poche le strade in tutto il Paese, che utilizza il fiume per i grandi spostamenti e una ferrovia, che mi dicono pericolosissima, arriva sulla costa, a Pointe Noir, la città petrolifera roccaforte dell’italiana Agip. La strada principale che si snoda tra foresta e qualche piantagione in più di quelle che ricordavo, porta a Owandò, avamposto congolese pronunciato all’interno del continente, verso la Repubblica Centroafricana, immerso nella giungla più nera e inaccessibile. La “route” ne permette il raggiungimento quando la stagione lo concede e le piogge non riempiono i canali e i fossi d’acqua rendendo il viaggio una avventura. Parlo di “route”, di strada, ma per avere il senso della realtà bisogna pensare a un campo minato. Le buche, grandi e piccole, concedono ai 4X4, le sole auto abilitate a percorrere le strade da queste parti, velocità di 20-30 km/h. Curiosa e caratteristica la presenza continua sul terreno di termitai grandi da pochi a molti metri, fino a formare collinette. La foresta è veramente nera, buia, inaccessibile.